Dalla Teoria alla Pratica: come il Modello 231 potenzia il Safeguarding

Articolo scritto dall’Avv. Mura Marina

La promozione della cultura del benessere mentale, delle politiche di sicurezza, dell'equità e dell'inclusione risponde alla necessità di allinearsi alle normative internazionali e riflette, altresì, un cambiamento di paradigma nel concepire lo sport. Tale innovazione è in parte una risposta omogenea e concreta ai recenti scandali che hanno scosso il panorama sportivo internazionale, evidenziando la necessità e l’urgenza di un intervento normativo volto a tutelare i diritti degli sportivi. Anche l’Italia ha scelto, in conformità agli obiettivi individuati in sede internazionale, di porre l'atleta al centro del sistema. Non a caso, infatti, la riforma dell’ordinamento sportivo non si limita a rispondere a esigenze immediate ma ambisce a decostruire le dinamiche nocive, che non permettono un empowerment degli atleti, e ricostruire delle basi per un futuro nel quale costrutti quali mental health, equity, sicurezza, responsabilità, sostenibilità, rispetto diventino baluardi di ogni associazione e/o società sportiva, sia essa dilettantistica o meno.

Per contrastare i fenomeni che possono minare la funzione primaria dello sport in spregio alla valenza costituzionale che esso assume, la riforma ha posto l’accento sull’importanza che ogni organizzazione sportiva adotti in conformità alla Federazione Sportiva Nazionale di riferimento le linee guida c.d. di safeguarding. In termini brevi, tale locuzione si riferisce a un insieme di pratiche e misure che ogni società sportiva deve adottare al fine di proteggere i propri atleti, specialmente i minori, da abusi, sfruttamento e discriminazione nel contesto sportivo, assicurando così che la salute e la sicurezza degli atleti siano la priorità.

Analizzando le disposizioni dettate in materia di safeguarding e di responsabilità degli enti, ancorché sportivi, appare evidente come l’adozione del modello 231 e delle linee guida in ambito di protezione degli atleti viaggiano o, meglio, dovrebbero viaggiare, sullo stesso binario. L’intento alla base di entrambe le normative risulta essere comune e ciò si traduce in un’unica onnicomprensiva mission: garantire che ogni atleta possa esercitare il diritto allo sport in un contesto sicuro e sano. Infatti, l’adozione delle linee guida safeguarding e del modello 231, se competentemente redatti e diligentemente applicati, garantisce la creazione di una “rete di protezione” intorno all’atleta e alla società, prevenendo abusi e riducendo il rischio di contenziosi che spesso si rivelano deleteri tanto per lo sportivo quanto per l’associazione e/o società e, conseguentemente, per la Federazione di riferimento.

Questi due strumenti, oramai imprescindibili per le associazioni e le società sportive, non sono più solo un dovere etico ma anche un imperativo legale.

Pertanto, la sfida per le organizzazioni sportive diviene, per chi ha già ossequiosamente adottato il modello 231, l’implementazione o revisione di quest’ultimo al fine di renderlo maggiormente efficace, nonché designare, come da proroga, un responsabile di safeguarding entro il 1° luglio 2024. Mentre per le organizzazioni che non hanno ancora adottato il modello 231 diviene fondamentale l’adozione di quest’ultimo e delle linee guida in materia di safeguarding, nonché la designazione di un responsabile, che dovrà essere dotato delle necessarie competenze, essere autonomo e indipendente rispetto all’organizzazione sportiva. Con la consapevolezza in seno alle associazioni sportive e società che, allo stato attuale, l’inosservanza di queste prescrizioni potrebbe comportare sanzioni e penalità.

Emerge quindi come la protezione degli atleti e la responsabilità legale siano due facce della stessa medaglia e, pertanto, ciò che ora può fare la differenza per le associazioni e le società è non considerare la protezione degli atleti e la responsabilità legale separatamente, esse infatti sono interconnesse e reciprocamente rafforzanti, anche banalmente ai fini della credibilità di una società rispetto ad un'altra. Il vero punto di forza della riforma, di non immediata percepibilità a causa delle tempistiche dilatate, delle lacunose disposizioni transitorie e delle innumerevoli proroghe risulta incardinarsi nella sinergia tra responsabilità legale e protezione degli atleti. In altri termini, più pragmatici, investire nella protezione degli atleti significa anche minimizzare il rischio collegato a eventuali responsabilità legali in capo all’organizzazione sportiva.

Ciò premesso, prima di analizzare come modello 231 e politiche di safeguarding potrebbero, anzi dovrebbero, interagire e dimostrarsi un connubio vincente per le organizzazioni, è utile richiamare sinteticamente e separatamente la loro precipua funzione.

Il Modello 231, introdotto in Italia dal D.lgs n. 231/2001, stabilisce un sistema di responsabilità amministrativa per le persone giuridiche, incluse le associazioni e le società sportive, per reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio. Esso presuppone che le organizzazioni adottino misure preventive per evitare reati quali corruzione, frode, abusi e altri illeciti individuati in base alla specifica attività dell’ente. Tra le componenti essenziali che devono caratterizzare il Modello 231 vi sono: la Mappatura dei Rischi, al fine dell’identificazione delle aree vulnerabili rispetto a potenziali reati e/o illeciti; il Codice Etico ovvero un documento nel quale sono stabiliti i principi e i valori etici che guidano la società, nonché gli standard di comportamento attesi; le procedure di Controllo, ossia l’adozione di procedure operative e meccanismi di monitoraggio per garantire la conformità alle normative e ai principi etici stabiliti; Formazione e sensibilizzazione, che si traducono nel garantire programmi di formazione adeguati con lo scopo di educare il personale sui rischi e le responsabilità legate al Modello 231.

Le linee guida di safeguarding, invece, mirano a proteggere gli individui, in particolare i minori, da abusi e maltrattamenti. I principi posti alla base delle linee guida si caratterizzano per il particolare focus che la società deve porre sulla prevenzione degli abusi, attraverso la predisposizione di misure proattive per identificare e prevenire comportamenti inappropriati; sulle procedure di segnalazione mediante la creazione o l’adozione di canali sicuri per denunciare abusi o comportamenti inadeguati; sulla formazione, al fine di educare il personale sui diritti degli atleti e le pratiche di safeguarding.

L'integrazione tra il Modello 231 e le linee guida di safeguarding offre un framework di riferimento ancora più solido per le associazioni e società sportive non basato meramente sui canonici paradigmi della compliance ma garantendo un ambiente maggiormente sicuro e affidabile non solo per gli atleti bensì anche per i membri di cui la società si compone e dei soggetti con cui, per qualsivoglia ragione, entra in contatto.

Dal momento che la normativa di riferimento appare oggi ancora lacunosa e farraginosa, si vuole qui evidenziare come le organizzazioni che sceglieranno di far dialogare questi due istituti integrando le rispettive politiche e procedure può risultare, in un’ottica di risultato maggiormente efficace ed efficiente, la miglior via da perseguire per rispondere proattivamente a quanto oggi richiesto dall’ordinamento sportivo.

Ora, volendo concentrare l’attenzione sul lato operativo, con riferimento al Codice Etico e Linee Guida di Safeguarding, una strategia che massimizza e valorizza quanto richiesto a monte alle organizzazioni sportive sicuramente consiste nel riformulare il Codice Etico del Modello 231 includendo esplicitamente, tra gli altri, i principi di safeguarding. Ciò significa che quest’ultimo dovrebbe definire chiaramente che qualsiasi forma di abuso, discriminazione o violenza è inaccettabile e contraria ai valori dell'organizzazione. Inoltre, nella stesura delle linee guida, specificare in modo puntuale quali siano i comportamenti passibili di violazione dei principi di safeguarding, faciliterebbe l'applicazione delle misure disciplinari previste dal Codice Etico.

In seconda battuta, chi si appresta alla Mappatura dei Rischi, prodromica a individuare le aree vulnerabili al fine di elaborare un Modello 231 conforme alle prescrizioni e all’asseto organizzativo delle società e associazioni, dovrebbe condurre un’analisi specifica e incrociata delle aree di rischio in cui gli abusi hanno maggiore probabilità di verificarsi. In via esemplificativa, e non esaustiva, il professionista incaricato per la predisposizione del modello dovrebbe analizzare i contesti di allenamento, le interazioni tra allenatori e atleti e l’uso delle tecnologie di comunicazione, nonché integrare tale attività mediante la somministrazione di questionari e interviste agli atleti e rispettive famiglie (in caso di minori) per identificare percezioni di sicurezza e comportamenti a rischio.

Altresì, sotto più profili, tra cui spiccano i costi e le performance di chi attivamente abita l’organizzazione sportiva, nei più svariati ruoli, elaborare e creare dei Programmi di Formazione Integrati e condivisi che coprano sia le responsabilità legali previste dal Modello 231 che le pratiche di safeguarding si rileva essere un’attività che non può che migliorare la performatività delle organizzazioni sportive e di chi le abita, nei più svariati ruoli. Infatti, quanto detto sicuramente aumenterebbe la sensibilizzazione di tutto il personale sulle normative legali e sull'importanza della protezione degli atleti. A titolo di esempio, il role playing potrebbe risultare utile qualora s’includessero esercitazioni pratiche durante i meeting di formazione per affrontare situazioni di rischio, permettendo in tal modo al personale di apprendere come riconoscere e gestire situazioni di potenziale abuso.

Ulteriormente, con riguardo alle procedure di controllo e monitoraggio occorrerebbe, al fine di verificare l’adeguatezza di queste ultime, stabilire procedure di audit che valutino sia l’aderenza al Modello 231 adottato dall’organizzazione sia l’efficacia delle misure di safeguarding. Tali audit dovrebbero includere controlli regolari sulle politiche di segnalazione e sul trattamento delle denunce. Inoltre, risulterebbe proficuo per l’identificazione delle aree da potenziare e, nel caso, migliorare le politiche di safeguarding creare un sistema di reportistica per monitorare le segnalazioni di abusi e i follow-up delle stesse, integrando feedback degli atleti, genitori e del personale.

In ultimo, e non per importanza, ogni organizzazione deve dotarsi di un sistema di segnalazione accessibile e anonimo che consenta agli atleti di denunciare comportamenti inappropriati in modo sicuro e confidenziale. La procedura di segnalazione dovrebbe essere chiaramente illustrata sia nel Modello 231 che nelle linee guida di safeguarding in modo tale che i diretti interessati, da eventuali abusi e/o comportamenti non conformi con i principi cardine a cui è informata la specifica organizzazione, possano sentirsi tutelati da eventuali ritorsioni.

Sport law comprende, vista la complessità e la continua evoluzione nel panorama sportivo delle normative di settore, le difficoltà di implementare politiche compliance, safeguarding e security; pertanto, siamo sempre a disposizione per una consulenza personalizzata ed esperta: la protezione degli atleti e della tua associazione e/o società è la nostra priorità.

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Modelli 231: Scatta l’obbligo di adozione per Associazioni e Società Sportive