eSports: Luci e Ombre della disciplina in Italia
In questi giorni la Nazionale Italiana FIFA ha disputato la “FIFAe NATIONS CUP 2022”, la competizione eSports più prestigiosa al mondo, organizzata a Copenaghen.
Forse non molti sanno che il mercato dell’eSport è in esponenziale crescita in Italia e rappresenta un interessante settore di sviluppo anche per gli sport tradizionali. Infatti, non solo l’Italia è l’unica nazione al mondo ad aver qualificato 3 giocatori alla “FIFAe WORLD CUP”, il mondiale individuale che si è tenuto nelle scorse settimane sempre presso la “Bella Arena” di Copenaghen, ma anche i “numeri” sono in costante crescita. Secondo il report di IIDEA (l’Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia), nel nostro paese ben 475 mila persone seguono quotidianamente eventi eSports (https://iideassociation.com/dati/esports.kl)
Il livello si è notevolmente alzato anche grazie alla F.I.G.C. e alla nascita della eNazionale che ha rappresentato un volano importante per le aspettative dei giocatori che sognano di indossare la divisa azzurra e poter confrontarsi in tornei internazionali (https://www.figc.it/it/nazionali/news/verso-il-debutto-nella-fifae-nations-cup-2022-siamo-pronti-vogliamo-stupire)
Nonostante tutto, l’Italia è ben lontana dai numeri dei Paesi Asiatici o degli U.S.A., dove i players hanno dei veri e propri contratti di lavoro subordinati, le competizioni sono sempre tutte sold-out e finanziate da sponsor mondiali. Si pensi solo che un recentissimo torneo disputato negli Stati Uniti ha superato il Super Bowl in termini di pubblico, evento sportivo da sempre più seguito al mondo. L’obiettivo che si è data l’Italia è riuscire ad organizzare eventi con una significativa presenza fisica di pubblico. Il primo passo in questa direzione sono i nuovi format di intrattenimento digitali da vivere all’interno di centri commerciali, palasport e, perché no, anche negli stadi di calcio, magari durante l’intervallo o prima dell’evento partita.
Purtroppo, a ostacolare la crescita in Italia degli eSport c’è lo stato di incertezza legislativa di cui non si vede ancora la fine.
Gli eSports, infatti, attualmente non sono ancora discipline riconosciute dal CONI, non esiste infatti una Federazione appositamente dedicata e vi sono solo delle associazioni che operano sotto l’egida di Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI che organizzano attività o tornei. Considerando il livello di agonismo descritto e anche il mercato economico che ne consegue, è urgente pensare un’evoluzione del settore anche in Italia. Un primo passo potrebbe essere inquadrare gli eSports almeno nell’ambito delle Discipline Sportive Associate e, nei prossimi anni, valutare se vi saranno i presupposti per poter essere riconosciuti come Federazione Sportiva Nazionale.
Negli scorsi mesi il C.I.O. (Comitato Olimpico Internazionale), massimo organo sportivo mondiale, si è espresso in merito alla questione eSports istituendo le “Olympic Virtual Series”, ovvero il primo esperimento in ambito olimpico legato al mondo degli eSports . Allo stesso tempo il C.I.O. ha espresso alcune preoccupazioni per particolari categorie di videogiochi e competizioni, principalmente quelli caratterizzati dalla presenza della violenza che sono in contrasto con i principi e valori espressi dalla Carta Olimpica.
Oltre al riconoscimento della disciplina, molta incertezza resta anche a livello contrattuale per la qualificazione dei giocatori.
La prestazione dei players eSports, infatti, non si può infatti paragonare al rapporto di lavoro che lega i giocatori professionisti alle proprie società sportive, disciplinato dall’art.3 della Legge n.91 del 1981 (Legge sul Professionismo Sportivo). In particolare tale disciplina è riservata ai soggetti che esercitano la propria attività sportiva nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e soprattutto in un settore dichiarato Professionistico dalla propria Federazione Nazionale, la quale prevede che la prestazione svolta dall’atleta deve costituire oggetto di contratto di lavoro subordinato, con conseguenza che la remunerazione dell’atleta costituisce reddito da lavoro dipendente ex art.49 del T.U.I.R. (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). I players eSport non sembrano, però, rientrare neanche nella categoria degli atleti Dilettanti, cioè tutti quegli atleti che non svolgono un’attività sportiva professionistica ma che praticano comunque una delle discipline sportive riconosciute dal CONI, e per i quali i relativi redditi sono ricompresi tra quelli “diversi” come previsto dall’art.67, comma 1 lettera m) del T.U.I.R. In assenza di una regolamentazione specifica, pertanto, attualmente il rapporto contrattuale dei players è inquadrato come Contratto di Prestazione d’Opera Intellettuale e disciplinato ai sensi dell’art.2230 e seguenti del Codice Civile, con tutte le incertezze che ne conseguono.
Infine, punto estremamente critico e dolente, l’assenza di una normativa sulla responsabilità degli organizzatori degli eventi Esports. Infatti, per le caratteristiche stesse di queste discipline esistono rischi e criticità patologiche che ad oggi sono tutelate solo da norme generali, non sempre efficaci. Si pensi, ad esempio il fenomeno del cybercrime, dei rischi per il trattamento dei dati dei player che spesso sono minori e poco informati sulle regole della privacy e della raccolta dei dati.
È chiaro, quindi, che il quadro normativo italiano in materia di eSports non risponde alle esigenze di un settore che sta iniziando a svilupparsi.
Un ultimo elemento che frena gli stakeholders a investire in Italia sono anche le pesanti burocrazie sui concorsi a premi che unite alle incertezze legislative indicate costituiscono una barriera che deve essere risolta.
L’industria legata ai videogiochi ha superato i fatturati di televisione, cinema e musica e si prevedono ricavi di miliardi di dollari entro il 2024, il tutto senza pensare al mercato del metaverso che in questo momento è in grande ascesa. L’Italia, quindi, non può più attendere e deve necessariamente creare le condizioni perché questa disciplina possa crescere, come deve anche nel nostro Paese per essere competitiva con gli altri Stati.